19 luglio 2004
Nomi a dominio e tutela del marchio: il caso Armani.it

La legge (non scritta) del marketing

I nomi a dominio ‘intelligenti’ possono avere diverse finalità e debbono avere determinate caratteristiche per soddisfarle; in primo luogo, un buon nome a dominio deve essere facilmente memorabile; Armani.it è sicuramente memorabile; un nome a dominio deve però anche essere estremamente coerente con l’attività dell’azienda che rappresenta; in questo caso non credo che molti comprerebbero un timbro del timbrificio Armani solo perché porta il nome Armani; al contrario, una giacca, una gonna o un profumo assumono un valore e un significato speciale per la persona che li indossa proprio perché sono legati al suo nome.

Nella moda il nome conta spesso più del taglio, del colore e della qualità del tessuto; molto di più. Inoltre, elemento essenziale, un dominio deve favorire il reperimento del sito in un motore di ricerca; anni fa questa consapevolezza era senza dubbio inferiore a quella attuale; ma come non pensare che il dominio timbri.it non sarebbe stato per Luca Armani molto più efficace di Armani.it?

La legge italiana ha, per ora, deciso che il dominio Armani.it spetta alla Giorgio Armani S.pa. e noi di questo stiamo discutendo, ma è anche vero che la legge del marketing consigliava a Luca Armani di non puntare su quel nome a dominio per pubblicizzare il suo sito web e la sua attività e per un motivo molto semplice: poniamo che Luca Armani avesse pubblicizzato il proprio sito con dei banner pubblicitari: “Armani.it (primo frame) timbri per tutte le necessità (secondo frame); molti avrebbero ciccato il suddetto banner pensando di raggiungere poi una pagina del famoso stilista o in qualche maniera ad esso legata; questo vale per il timbrificio così come per qualsiasi altra attività.

Come sanno tutti coloro che hanno avuto anche una breve esperienza di web advertsing, un accesso (al sito) non veramente motivato, casuale o addirittura motivato da cause errate (cioè dal pensiero, anche inconsapevole, di visualizzare una pagina di capi di moda anziché di timbri) è un accesso sprecato e, che sia stato pagato o no, è comunque è un accesso che non vale nulla in termini di brand image, che difficilmente aumenterà l’intenzione d’acquisto e che molto probabilmente susciterà un sentimento-risentimento nei confronti del sito che si è raggiunto ‘per sbaglio”.

Certo, l’utente potrebbe pensare: “e bravo questo Luca Armani, che riuscito è ad aggiudicarsi il dominio del proprio cognome e della propria piccola azienda prima della grande multinazionale!”.

Vero è anche che il giudizio potrebbe essere fortemente negativo: “questo Luca Armani cerca di farsi un po’ di pubblicità con un cognome che – per quanto gli appartenga – è conosciuto in tutto il mondo per ben altre ragioni…”, dando così l’impressione di ‘approfittarsi’ ingiustamente di una notorietà non propria.

Come è ben chiaro, immergersi in possibili argomentazioni psicologiche di questo tipo è poco fruttuoso; a un giudizio positivo se ne può sostituire altrettanto facilmente uno negativo.

Per non indulgere in ambiguità, diciamo chiaramente che: Luca Armani aveva tutto il diritto di acquistare e di conservare la proprietà di quel dominio, ma aveva anche tutto il torto, per la legge non scritta del web marketing, se avesse voluto utilizzare quel dominio per pubblicizzare la propria attività”. Nel mondo della pubblicità, come del resto per tutti i casi della vita, non conviene fare tutto quello che si può fare né conviene comprare tutto quello che si ha il diritto di comprare.

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